L'Unione Europea sta compiendo sforzi concreti per ridurre le emissioni di gas a effetto serra (GHG). Negli ultimi 20 anni le emissioni sono state ridotte del 16% a fronte di un incremento economico del 40% nello stesso periodo.
La strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva comprende cinque obiettivi principali che stabiliscono come dovrebbe essere la Comunità Europea nel 2020. Uno di questi interessa il clima e l'energia: Gli stati membri si sono impegnati di ridurre le emissioni a effetto serra (GHG) del 20%, incrementando la quota delle energie rinnovabili del 20% e migliorando l'efficienza energetica del 20% entro il 2020. Inoltre, nel marzo 2011, la Commissione Europea ha rilasciato la comunicazione “A Roadmap for moving to a competitive low carbon economy in 2050” (Linee guida per un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050) che prevede una riduzione significativa dei gas serra emessi in agricoltura (N2O e CH4) da -42% a -49% entro il 2050 rispetto alle emissioni del 1990. Mentre la questione principale relativa ai gas serra nei paesi industrializzati è la CO2, inerente alla produzione e all'uso di energia, in agricoltura il più importante gas serra è il protossido di azoto ( N2O) dovuto principalmente alla fertilizzazione azotata.
Anche se le emissioni di protossido di azoto contribuiscono poco al totale delle emissioni di gas serra (8% su scala mondiale), l'agricoltura è considerata la sorgente principale di tale gas a causa dell'utilizzo di minerali azotati utilizzati come fertilizzanti. La riduzione dei gas serra sarà considerata non solo dalle politiche ambientali europee ma anche nella definizione delle prossime Politiche Agricole Comuni (Common Agricultural Policy CAP) dal 2013. In effetti un compito importante è l'integrazione delle azioni di mitigazione del cambiamento climatico con la politica agricola. Le misure evidenziate nella Roadmap includono: guadagni di efficienza più sostenibili, l'uso efficiente dei fertilizzanti, bio-gassificazione dei concimi organici, incremento dell'utilizzo del letame, miglioramento della produttività del bestiame, diversificazione e commercializzazione locale della produzione, ottimizzazione dei benefici prodotti da allevamenti estensivi.
Tutte queste misure intendono potenziare la riduzione dei gas serra diversi dalla CO2 quali il protossido di azoto e metano che sono i principali gas serra prodotti dal settore agricolo.
Il protossido di azoto è una molecola stabile con una vita media in atmosfera di circa 120 anni. Questo contribuisce all'efficienza con cui il N2O assorbe la radiazione infrarossa emessa dalla terra contribuendo all'effetto serra. Il potenziale riscaldamento globale del protossido di azoto è stimato 298 volte superiore a quello del biossido di carbonio (CO2) dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, 2007). Tuttavia a causa della sua concentrazione atmosferica di circa 315 ppb, 1000 volte inferiore a quella della CO2 , si stima che il N2O contribuisca al 6% del “total radiative forcing” atmosferico. Le analisi del ghiaccio polare indicano un aumento del protossido di azoto dal 1850 a oggi con un incremento maggiore a partire dalla seconda metà del 20-esimo secolo. La concentrazione attuale è circa il 12% in più rispetto ai livelli pre-industriali e continua ad aumentare di circa 0.7 ppb all'anno. Fino ad oggi solo la fotolisi nella stratosfera (Crutzen, 1981) è riconosciuta come processo naturale di riduzione delle concentrazioni di N2O in azoto molecolare e ossigeno.
In accordo con Mosier et al. (1998) e Kroeze et al. (1999) le emissioni totali di N2O sono stimate in 17.7 Tg/anno con un contributo delle sorgenti naturali di 9.6 Tg/anno e 8.1 Tg/anno d'origine antropogenica. L'emissione di protossido di azoto dal suolo, stimata in 10.2 Tg/anno, è il 60% del protossido di azoto immesso in atmosfera. L'uso di fertilizzanti azotati in terrreni arati è la causa principale di produzione di protossido di azoto.
Processi di denitrificazione e nitrificazione mediati da batteri sono l'origine principale del protossido di azoto dal suolo.
La denitrificazione biologica, governata da batteri eterotrofi, è la riduzione del nitrato (NO3-) o nitrito (NO2-) in NO, N2O e N2 gassosi. In assenza di ossigeno molecolare (O2), tali batteri utilizzano NO3- e NO2- come alternativa. La nitrificazione, principalmente mediata da batteri chemio-autotrofi in condizioni aerobiche, è l'ossidazione biologica dell'ammonio (NH4+) in NO3- e NO2- .
L'entità dei processi di nitrificazione e denitrificazione è principalmente dovuta a caratteristiche micro-climatiche, la gestione agricola del suolo può interferire con tali processi per quanto concerne la reperibilità, per i batteri di azoto minerale e quindi modificare l'emissione relativa di protossido di azoto (N2O). Il contenuto di acqua nel suolo influenza il rilascio di N2O. Il processo di nitrificazione è relativamente costante negli ecosistemi mentre la denitrificazione è temporalmente e spazialmente molto variabile.
Diversi studi indicano che il N2O è principalmente prodotto da processi di denitrificazione in zone temperate. Questo viene prodotto in “punti caldi” (hot spots) in cui la decomposizione organica genera dei micro-siti anaerobici. L'emissione di N2O è sporadica. Laville et al. (2011) sostiene che nel 63% dei casi i flussi di N2O sono inferiori al limite di rilevazione di molte metodologie usate per misurare le emissioni dal suolo di tale gas. La maggior produzione annuale di protossido di azoto avviene dopo la fertilizzazione dei terreni con minerali azotati e durante la mineralizzazione dei residui colturali. La natura sporadica dell'emissione di protossido di azoto dipende dall'umidità relativa del suolo e da una reazione esponenziale che avviene oltre un dato limite di concentrazione di fertilizzante azotato. Questa grande variabilità spaziale e temporale dei flussi di protossido di azoto rende molto difficile la valutazione dell'emissione totale annua di aree estese quali campi coltivati, prati, foreste. Basandoci su queste considerazioni emerge un urgente bisogno di sistemi di misura che permettano sia un monitoraggio temporale continuo dei flussi di protossido di azoto da un determinato sito che la quantificazione della variabilità spaziale dei flussi con una sensibilità e affidabilità superiori alle metodologie fino ad oggi disponibili.